Un dramma del non essere

di Luchino Visconti
dal volume Vaghe stelle dell'Orsa

Questo film è un"giallo” diverso dal consueto.

Si è parlato di una"Elettra moderna”, ma per spiegare cosa intendo in questo caso per"giallo” citerò un’altra tragedia classica: l’Edipo Re, uno tra i primi"gialli” mai scritti, in cui il colpevole è il personaggio meno sospettabile (Edipo stesso all’inizio della tragedia si definisce"l’unico estraneo”).

Può darsi che gli spettatori dell’epoca sofoclea lasciassero il teatro convinti che il vero colpevole non fosse Edipo, ma il fato; allo spettatore contemporaneo però questa comoda spiegazione non basta. Egli scagiona Edipo solo in quanto si sente a sua volta chiamato in causa, come per un concorso di colpa.

Così nel mio film ci sono dei morti e dei presunti responsabili, ma non è detto che siano i veri colpevoli e le vere vittime. In questo senso il riferimento che io stesso ho fatto all’"Orestiade” è più che altro di comodo. Prendiamo Sandra e Gilardini, per esempio: l’una somiglia ad Elettra per l’occasione che la muove, l’altro ad Egisto perchè al di fuori del nucleo familiare, ma si tratta di analogie schematiche. Sandra ha il volto di giustiziere, Gilardini quello dell’imputato, ma in realtà le loro posizioni potrebbero anche risultare capovolte.

L’ambiguità è il vero aspetto di tutti i personaggi del film, tranne uno, quello di Andrew, il marito di Sandra. Egli vorrebbe una spiegazione logica a tutto, e invece si scontra con un mondo dominato dalle più profonde, contraddittorie, inspiegabili passioni.

Questo personaggio è il più vicino alla coscienza dello spettatore, che a sua volta, proprio perché incapace di trovare una soluzione logica agli avvenimenti, dovrebbe trovarsi alla fine chiamato direttamente in causa, obbligato a chiedersi non tanto se la madre e Gilardini siano responsabili della morte del professore, o Sandra responsabile di quella di Gianni, quanto se colpa vi è stata e quale, e se non si celino dentro di noi una Sandra, un Gianni, un Gilardini.

Insomma, un"giallo” ove tutto è chiaro all’inizio e oscuro alla fine, come ogni volta che ciascuno inizia la difficile impresa di leggere dentro se stesso con la baldanzosa sicurezza di non aver nulla da imparare, e si ritrova di poi con l’angosciosa problematica del non-essere.

Ho fatto questo film perché sono convinto, e non da ora, che uno tra i mezzi, e non il meno importante, per osservare la società contemporanea e i suoi problemi, e cercare di trovarne una soluzione non convenzionale né statica, sia quello di studiare l’animo di certi suoi personaggi rappresentativi, comunque collocati e angolati.

Non condivido perciò la sorpresa di quanti, interessati al mio lavoro, si sono chiesti come mai io abbia scelto una storia intimista, quasi da"kammerspiel”, dopo il respiro storico di film come Rocco e i suoi fratelli e Il Gattopardo.

Il fatto è che, se sarò riuscito nel mio scopo, Vaghe stelle dell’Orsa somiglierà più di quanto oggi si creda ai miei film precedenti e costituirà la continuazione di un discorso che ho iniziato oltre vent’anni fa.

Del vecchio"kammerspiel” di Mayer e Lupu Pick avrà solo la relativa unità di tempo e di luogo, lo spunto drammatico a forti tinte, l’abbondanza di primi piani, cose del tutto accidentali cioè.

La mia vera attenzione è stata rivolta alla coscienza di Sandra, al suo disagio morale, al suo impegno di capire: gli stessi tiranti che a suo tempo hanno mosso ’Ntoni, Livia, Rocco o il principe Salina.

E se altrove mi sono servito di un ballo, di una battaglia, del fenomeno dell’emigrazione interna, della conquista del pane quotidiano, qui mi hanno stimolato l’antico enigma etrusco, Volterra, che ne è perfetta espressione, il complesso di superiorità della razza ebraica, una figura di donna.

Questi sono gli elementi"storici”, di fondo, e sostanzialmente entro certi limiti, da cui muove la vicenda di questo mio film. Così come ne sono elementi psicologici la conclamata esigenza di giustizia e di verità, l’insoddisfazione sentimentale e sessuale di Sandra, la sua crisi matrimoniale.

E così come, infine, ne costituisce essenziale elemento ambientale il dramma familiare (comune anche ai personaggi dei miei film che citavo prima).

Mossa dall’"incidente” (il ritorno alla casa paterna), la coscienza di Sandra inizia il difficile cammino verso la ricerca della verità, una verità profondamente diversa da quella in cui ella credeva d’essere saldamente radicata, una verità penosa e che forse a un personaggio come lei non sarà mai concesso di conquistare interamente.

In tal modo Sandra e le sue vittime (o i suoi persecutori) trovano un posto nel quadro della società contemporanea, o scoprono che per essi non c’è più posto. Ed aiutano, attraverso la loro tragedia, a meglio intendere la realtà del nostro momento storico e le sue finalità.

Se mi è permesso riprendere un argomento che mi fu caro agli inizi della mia carriera, dirò che oggi più che mai m’interessa un cinema antropomorfico. Vaghe stelle dell’Orsa è una conferma, non un’eccezione, di questo mio interesse dominante. Ecco"perché" ho fatto questo film.

Per quanto riguarda la sua elaborazione,"dal soggetto al film” cioè, Vaghe stelle dell’Orsa è stato forse il più laborioso tra i miei film.

Come si potrà notare dai testi, molte cose sono cambiate anche in fase di ripresa. Questo è dipeso dal fatto che la materia del film si è andata precisando di giorno in giorno.

Vorrei dire che vi hanno contribuito per un certo verso lo stesso soggiorno a Volterra, l’ambiente di palazzo Inghirami dove ho girato la maggior parte delle scene del fim, il lento procedere dell’autunno durante le riprese; e per un altro verso la conoscenza degli attori, alcuni dei quali scelti all’ultimo momento.

(...)

Jean Renoir, che da giovane fu un appassionato ceramista, soleva dire che la ceramica e il cinema hanno questo in comune: l’autore sa sempre quel che vuol fare, ma una volta messa l’opera nel forno non sa mai bene se verrà fuori come lui ha voluto, o almeno in parte diversa.

Io ho tenuto a lungo nel forno Vaghe stelle dell’Orsa. Lunga è stata la gestazione e, finite le riprese, lungo il periodo trascorso prima di montarlo. Nessuno più di me è oggi ansioso di sapere se questo"quiz di anime” avrà avuto la sua giusta gradazione di cottura.

Per la protagonista infatti avevo sempre pensato a Claudia Cardinale. Il personaggio di Sandra, anzi, era stato scritto su di lei, e non solo per quel che di enigmatico si cela dietro l’apparente semplicità di quest’attrice, ma anche per l’aderenza somatica della sua figura (la testa, in specie) a quella che delle donne etrusche ci è stata tramandata.

Non vi furono problemi neppure per la mia cara amica Marie Bell nel ruolo della madre, ne per Ricci in quello di Gilardini.

Più difficile risultò trovare Gianni. Non avevo mai lavorato con Sorel, e – una volta sceltolo – dovetti imparare a conoscerlo, ad adattargli addosso il personaggio di Gianni, giorno per giorno.

Ancora più avventurosa fu infine la scelta di Michael Craig, arrivato in Italia la vigilia dell’inizio di lavorazione. Anche per lui si pose lo stesso problema, ma credo che questa complicata gestazione non sia stata del tutto accidentale.

Forse era nella stessa natura del film nascere in modo laborioso, così come laboriosamente si spiegano i suoi protagonisti. Lo stesso titolo creò non pochi problemi. Adesso che ne sono quanto mai soddisfatto, specie dopo che anche nei paesi stranieri lo si è adottato, nonostante fosse stato ritenuto all’inizio troppo difficile da masticare.