Palazzo
Inghirami riapre le sue porte
VOLTERRA
— La Bmw si arresta dinanzi al portone del palazzo. Sandra ne
scende. Bussa ripetutamente, suona una campanella a tirante.
Bussa ancora. Il portone finalmente si apre. Siamo a metà
pomeriggio del 26 agosto 1964. Con Claudia Cardinale (Sandra)
che varca la soglia del Palazzo Inghirami, iniziano le riprese
di «Vaghe stelle dell'Orsa», il film che varrà a Luchino
Visconti il «Leone d'Oro» alla Mostra del Cinema di Venezia.
Per l'omaggio che Volterra si appresta a fare quest'estate al
grande regista, il portone di Palazzo Inghirami si aprirà di
nuovo, e questa volta per tutti. E poi anche gli anni venturi,
da primavera a autunno. L'antica e magica dimora, principale
residenza della più famosa famiglia volterrana, costituirà un
ulteriore richiamo culturale per la nostra città, sull'esempio
della magnifica casa Viti che è stata aperta da tempo ed ha
ospitato tante iniziative di vasto interesse. Per i turisti, e
per gli stessi volterrani, ci sarà da ora in poi l'emozione di
entrare in un'altra splendida abitazione signorile, di
passeggiare nelle sue sale che rievocano drammi e splendori, di
sfiorare le pareti che trasudano mito, di ammirare i cimeli
della «stirpe insigne» che ha vissuto da protagonista più di
mille anni di storia cittadina, dal leggendario teutonico Ennio
Birinchio fino a oggi, con personaggi di ampia risonanza come lo
sprezzante Paolo detto «Pecorino», soffocato con lo zolfo e
gettato sulla piazza dalla Torre del Porcellino, o come suo
figlio, il dotto e sensibile Tommaso detto «Fedra»,
immortalato dalla penna dell'Ariosto nell'«Orlando Furioso» e
dal pennello di Raffaello Sanzio. E l'intrepido marchese Jacopo,
ammiraglio della flotta dei Cavalieri di Santo Stefano,
governatore di Livorno; il generoso vescovo Bernardo, e
l'erudito Curzio, che non disdegnò il falso pur di rendere più
illustre la sua città; l'archeologo e storico Francesco, autore
di opere monumentali, e gli eroici fratelli Curzio e Marcello,
figure di spicco nella rivolta antifrancese del 1799; e ancora
il grande astronomo Giovanni, cui è stato intestato un ampio
cratere della Luna. Palazzo Inghirami è tutto questo o, meglio,
anche questo. E' suggestione storica e artistica, è
reminiscenza letteraria. Ammirare il grazioso cortiletto
«inverdito di muschi» e avvicinarsi, sotto l'acropoli, dove il
leccione patriarcale, piantato dall'ammiraglio agli inizi del
Seicento, muoveva «la fronda cupa su le nove braccia nodose» e
dove ora il suo tronco secolare, per volere degli Inghirami,
tornerà a fiorire di cultura e a farci immaginare la sua
«cupola posata sull'erba — come la vide il D'Annunzio —
vasta come quella del battistero a riscontro emergente di là
dal tetto del palagio, di là dalle banderuole di ferro che in
perpetuo stridono portando l'aquila su la ruota».
Nella foto: la facciata di Palazzo Inghirami di Franco Porretti |